2021



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Le fotografie

– Madonna Addolorata di Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, Pinacoteca di Cesena.

– L’Addolorata e i pannelli dei Sette Dolori di Maria nella chiesa di San Pietro di Sassoferrato.

– L’Addolorata e la Madonna e il Bambino con il rosario in mano nella chiesa di Santa Maria Assunta di Genga.


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ADDOLORATE NELLE MARCHE
(per la festa del 15 settembre)


Sassoferrato in provincia di Ancona sorge in un luogo montuoso nella valle del fiume Sentino, vicino alle rovine della antica “Sentinum” romana (III secolo a.C.). Fu un castello del secolo XII, fondato dagli Atti che lo ressero più o meno nominalmente fino al 1460 quando il cardinale Francesco Piccolomini, legato apostolico, ne prese definitivo possesso per lo stato della Chiesa. Nel novembre 1860 entrò a far parte del Regno d’Italia.
Dell’antico dominio temporale dei papi resta parte della rocca difensiva voluta dal cardinale Egidio Albornoz nel 1365 per controllare i territori tra l’Umbria, la valle del Tevere e il Montefeltro.

In epoca moderna Sassoferrato fu anche il soprannome del concittadino Giovanni Battista Salvi († 1685) che dipinse delle famose Madonne Addolorate e delle “Mater Amabilis” conservate nei musei d’Italia e del mondo. Suggestive e dai colori luminosi, spesso sono esposte in qualche mostra in città celebri per farle ammirare da un più ampio ed eterogeneo pubblico. Anche belle chiese e imponenti abbazie caratterizzano Sassoferrato e il suo territorio. Hanno architetture sontuose, quadri e affreschi di vario stile e statue di Maria Addolorata, non così celebri come quelle del Salvi, ma di un certo gusto moderno.

Un esempio è in castello, nella chiesa di San Pietro, di origini medievali, restaurata agli inizi del Settecento, rovinata dal terremoto del 1997 e riaperta al pubblico nel 2002.
Qui, in una cappella laterale, si trova una Addolorata donata da “A. Boldrini” e circondata da sette pannelli con i Sette Dolori di Maria provenienti dalla chiesa di San Giuseppe. O almeno così si legge nel cartiglio all’altare.
La luce abbondante che entra nella cappella aumenta l’effetto dei colori e l’insieme di statua e dipinti ha grande attrattiva già al primo colpo d’occhio.

Genga non è molto distante da Sassoferrato. Ha un comune vasto che ospita le grotte di Frasassi, molto visitate dai turisti. Il centro però resta il castello sul monte Giunguno tra boschi e rocce scoscese. Un tempo fu dei nobili detti della Genga dai quali provenne papa Leone XII che fu benefattore del luogo (1760-1829, regnante dal 1823).
Anche qui, nella parrocchiale di Santa Maria Assunta (1630) troviamo due statue moderne dell’Addolorata.
Una è una graziosa orante con un ampio mantello nero. È posta davanti a una tela di una solenne Madonna con il Bambino (dalla veste rossa a significare la natura divina), entrambi con il Rosario in mano.

La seconda, dal viso ugualmente bello, ma dallo stile più comune, si trova in una nicchia della navata, a destra entrando, mentre dalla parte opposta, a sinistra, è collocata una statua di Gesù con il Santo Cuore, vestito di bianco come nella Trasfigurazione, e con il manto rosso.

Ma anche altre chiese della diocesi di Fabriano Matelica conservano un buon numero di Addolorate di ogni forma e abbigliamento.
Risalgono per lo più all’Otto-Novecento e di certo dovettero la loro diffusione all’opera iniziata molto tempo prima proprio da papa Leone XII, che dette un’impronta particolare al suo regno anche per l’esperienza avuta nel governo spirituale dell’infelice popolo di Roma della quale fu vicario.
Si scrive in “La Religione dei nuovi tempi. Il riformismo spirituale nell’età di Leone XII”:

“Appare significativo come, tra il maggio 1820 e l’agosto 1823, della Genga abbia firmato documenti nei quali ricorrevano frequenti espressioni come «affetto per le istituzioni religiose», «raccoglimento», «vero culto», «segno di croce», «devozione cristiana», «grazia», «misericordia», «orazione», «intercessione», «braccia sacerdotali elevate al cielo», «anime sante del purgatorio», «indulgenze», «novene», «confessione», «comunione», «assistenza dei malati negli ospedali», «visita dei carcerati», «esercizi spirituali».
Il 9 settembre 1820 egli affermò in un editto che in tempi pericolosi vaticinati da S. Paolo […] la Chiesa era «addolorata ed oppressa dai nemici, dagli stranieri, dai domestici, dai figliuoli» ed era avvolta da un «turbine sempre più nero» che si addensava e muggiva «terribile» [...]. Va vista, dunque, in questa luce, l’opera dei parroci e anche la riforma delle parrocchie del 1824, preparata da della Genga fin dal 1820.
Da cardinale vicario e ancor più da pontefice, capì che l’indebolimento dei rapporti tra i parroci e i fedeli era alla base dell’instabilità della struttura diocesana. Intuì che il tessuto parrocchiale doveva essere trasformato e non pensò ai parroci come a funzionari di polizia o a sorveglianti del territorio, bensì come a curatori d’anime” (pp. 259-260).

Anche all’iniziativa di questo papa, dunque, e alla memoria che ne ebbe il popolo cristiano è pensabile attribuire la diffusione delle tante immagini e delle statue di Maria Addolorata che ancora oggi si vedono nelle Marche, sua patria.

Paola Ircani Menichini, 11 settembre 2021.
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